Nel nostro Focus, pubblicato la scorsa settimana, abbiamo accennato a una possibile riduzione dei fondi da parte dell’Unione Europea – e, più precisamente, di Europa Creativa (e il suo programma Media) – dopo la Brexit e all’importanza di assicurare questi capitali con l’obiettivo di tutelare la cooperazione continua tra UK e EU nel mercato dell’audiovisivo.

Fortunatamente non abbiamo dovuto aspettare molto per avere una risposta: il 28 marzo 2018, il Governo UK ha destinato 150 milioni di sterline all’accordo di settore delle industrie creative. Concepito come un piano a lungo termine per rafforzare la produttività e il guadagno potenziale in UK e come parte della strategia industriale del governo, l’accordo sarà così sviluppato: il Consiglio della ricerca per le arti e gli studi umanistici investirà 39 milioni di sterline – dei 150 milioni – in otto “ricerche creative e sviluppo di partnership con la Gran Bretagna”, mentre gli altri 33 milioni saranno destinati a prodotti tecnologici, servizi ed esperienze. Considerando che – come anticipato nel secondo focus – la Gran Bretagna rimarrà nell’Europa Creativa almeno fino al 2020, ora il dubbio è se i 150 milioni di sterline di questo accordo verranno utilizzati solo in aggiunta ai finanziamenti di Europa Creativa o come mezzo per compensare una possibile mancanza di quest’ultimo dopo la Brexit.

Una nuova luce su questo dibatto sui fondi fornisce una prospettiva diversa su come si potrebbero sviluppare le altre questioni in sospeso: come ad esempio le possibilità di inserimento nel mercato dei giovani talenti, un’eventuale perdita nell’esportazione, e l’incertezza della nuova regolamentazione. Sui talenti, l’ultima notizia è che il governo UK destinerà 2 milioni di sterline in più per i fondi relativi ai corsi di formazione tra i quali c’è un programma dedicato alle di carriere creative con lo scopo di raggiungere più di 2.000 scuole e 600.000 studenti. Inoltre, Matt Hancock, il Segretario di Stato britannico per il Digitale, la cultura, i media e lo sport, discutendo dell’accordo del settore, ha dichiarato: “Le nostre industrie creative sosterranno lo sviluppo di nuovi talenti, si assicureranno che le persone siano adeguatamente premiate per il loro contributo creativo e forniscano alle nostre aziende il supporto di cui hanno bisogno per competere sul palcoscenico globale. Milioni di persone in tutto il mondo godono della nostra produzione artistica e culturale e vogliamo che la Gran Bretagna resti all’avanguardia in questi settori vivaci”.

Questa è la ragione per cui mantenere il flusso di forza lavoro tra UK e l’Europa è di estrema importanza, considerando che, per esempio, in un sondaggio condotto dalla Federazione delle Industrie Creative (CIF) l’anno scorso, il 75% di 250 businesses ha confermato di assumere cittadini dell’UE, e quasi la stessa percentuale ha affermato di non poter coprire quei posizioni con lavoratori locali. Solo nel settore degli effetti visivi del Regno Unito, questi dipendenti rappresentano il 30% della forza lavoro. Il CIF (Federazione delle industrie Creative), nel suo ultimo Report sul Global Talent, ha sottolineato il bisogno di chiarire lo status dei cittadini UE che vivono in Gran Bretagna e riguardo alle esenzioni dai visti per progetti a breve termine, come i cortometraggi.

Altrimenti c’è il rischio che attori, registi e produttori riallochino sempre di più le loro attività nel territorio dell’Unione. In risposta a questa prospettiva critica, il Parlamento Britannico ha ribadito la necessità di chiarimenti sulla negoziazione per la cittadinanza e i “visa”, e ha evidenziato che “la semplicità dovrebbe essere il punto chiave per i futuri accordi migratori”, e che “il governo dovrebbe cercare di mantenere il regime di libertà di movimento delle persone durante il periodo di transizione che seguirà l’ufficializzazione della Brexit nel Marzo 2019”. Passando adesso al pericolo della potenziale perdita di esportazioni per il settore audiovisivo britannico, le preoccupazioni sembrano concentrarsi sulla questione se i film e i programmi tv britannici prodotti dopo la Brexit saranno comunque considerati all’interno delle quote dei broadcaster europei oppure no. Potrebbe essere svantaggioso per le produzioni britanniche competere con il resto del mondo come un distributore non europeo.

La paura più grande infatti è che l’UE decida di imporre dazi sui film e le produzioni televisive del Regno Unito così da rafforzare le proprie. Comunque, al momento gli indizi dicono che è difficile che questo accada, grazie alla presenza chiave dell’OfCom, il regolatore di comunicazione UK nel mercato. A oggi più di 650 canali non britannici devono essere autorizzarti dall’Ofcom prima che gli sia permesso di trasmettere liberamente in tutti paesi nell’Unione. La successiva domanda, a questo punto, riguarderebbe cosa potrebbe succedere se tutti questi canali (per non menzionare i produttori, distributori e altri agenti del mercato oltreoceano) dovessero cercare un nuovo “paese di origine” nell’Unione per trasmettere e distribuire i loro prodotti. Questo ci riconduce al nostro ultimo punto sulla situazione post-Brexit: il futuro della regolamentazione nel settore. Secondo la Federazione internazionale dell’Archivio Film, il “paese di origine” è definito come il luogo, in cui si trovano gli uffici principali della casa di produzione che realizza quei determinati prodotti audiovisivi. È questo quadro normativo che permette alle compagnie televisive di trasmettere in tutta Europa, rispettando solo le leggi del paese di origine. Attualmente, quando i broadcaster extraeuropei vogliono stabilire il loro quartier generale in Europa possono decidere se di stabilirsi in UK o meno, come hanno già fatto numerose compagnie.

Per questa ragione, durante l’ultimo incontro della Commissione Cultura digitale, media e sport della Camera dei comuni, è stato sottolineato che “il principio del “paese di origine” dovrebbe rimanere anche dopo la Brexit, così che le compagnie mediatiche con base in UK non incontrino altre difficoltà, o che si sentano costrette a trasferire le loro operazioni in un altro paese europeo. È molto probabile comunque che un broadcaster internazionale con sede a Londra possa ottenere nuove licenze di trasmissione nell’UE, unitamente a una presenza editoriale più forte che è ancora lontana dall’essere chiara. Tuttavia, rimangono diverse preoccupazioni sulle negoziazioni che stanno andando avanti in questo periodo, ma è innegabile che il futuro delle industrie audiovisive dopo la Brexit sembra più ottimista e le conseguenze sembrano disastrose di quanto si prevedesse nei mesi scorsi. Il prossimo anno in occasione della quarta edizione del Mia|Co-production Market tutte queste preoccupazioni e incertezze potrebbero però appartenere già al passato.

 

Rielaborazione di MIA. Fonti:

House of Commons Digital, Culture, Media and Sport Committee (2018, Jan. 25). The Potential Impact of Brexit on the Creative Industries, Tourism and the Digital Single Market: Second Report of Session 2017-19.

D’Arcy, C. (2016, Sept. 26).  Brexit and the audio-visual sector – facing up to life outside the single market. Global Counsel. Retrieved from https://www.global-counsel.co.uk

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