In oltre cinquant’anni di carriera, Giorgio Armani ha firmato i costumi di più di duecento film, trasformando il cinema in un luogo privilegiato di dialogo tra moda e narrazione. Una svolta arriva nel 1980 con American Gigolo: Richard Gere, avvolto in completi dalle linee morbide e dai tessuti leggeri, diventa il simbolo di una nuova idea di eleganza maschile.
A pochi anni dalla nascita della maison, lo stilista conosciuto da tutti come “Re Giorgio”, aveva già rivoluzionato l’abito da uomo trasformandolo in linguaggio narrativo.
Da Gli intoccabili di Brian De Palma a Quei bravi ragazzi di Scorsese, Armani ha vestito gangster e uomini di legge, eroi e antieroi, donando ai personaggi una forza scenica che va oltre la recitazione.
La doppia vita di Bruce Wayne in The Dark Knight, gli eccessi sfacciati di Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street, lo smoking bianco e spavaldo di Brad Pitt in Bastardi senza gloria, l’austerità glaciale di Jodie Foster in Elysium, sono solo alcuni degli archetipi memorabili di cui si è reso regista silenzioso.
Dalla collaborazione con Bernardo Bertolucci per Il tè nel deserto, ai rapporti con registi come Giuseppe Tornatore e Paolo Sorrentino, anche il cinema italiano ha beneficiato del suo tocco, a conferma di una vocazione internazionale che non ha mai reciso le radici.
Ma il prestigio di Armani non si è mai limitato alla sua maestria sartoriale: per numerosi artisti, intellettuali e imprenditori ha sempre rappresentato anche un punto di riferimento culturale. Un esempio è l’attore pluripremiato Stefano Accorsi, che, nel suo libro autobiografico, lo definisce una figura sempre attenta e interessata a ciò che accade nella società e nell’evoluzione della cultura.
Con abiti che non sono mai stati semplici accessori, ma parte integrante delle narrazioni, Giorgio Armani, con la sua morte a 91 anni, porta via al cinema non solo un grande stilista, ma un co-autore silenzioso delle sue storie più iconiche.
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