Appurato l’impatto positivo che l’AI ha avuto nel campo dell’audiovisivo non possiamo ora non considerare le varie preoccupazioni che, nel tempo, sono sorte tra tutte le professionalità del settore. L’avvento di queste innovazioni tecnologiche, infatti, non ha portato in campo solamente opportunità, ma anche sfide e dubbi.
Una delle questioni cruciali riguarda certamente le conseguenze che l’AI sta avendo sul mercato del lavoro. L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando i ruoli tradizionali, modificando in modo sostanziale le pratiche legate alla produzione, progettazione e interpretazione del lavoro artistico e culturale. Attività un tempo riservate all’azione umana — come la scrittura, la composizione musicale, la creazione di immagini o lo sviluppo di concept visivi — sono oggi sempre più affidate, in parte o interamente, a sistemi intelligenti capaci di apprendere, generare contenuti originali e adattarsi ai diversi contesti. Tale rivoluzione sta dunque rimodellando il lavoro umano, ponendo importanti interrogativi circa il futuro della creatività, considerata un tempo prerogativa esclusiva dell’intelligenza umana.
Ma la questione nodale su cui l’introduzione dell’AI ha sollevato – e continua a sollevare -numerosi problemi riguarda il diritto d’autore. Temi quali paternità, responsabilità e trasparenza dell’opera sono ora a rischio. La normativa nazionale sul diritto d’autore, infatti, stabilisce che un’opera può essere protetta solo se è frutto dell’intelletto umano. Come comportarsi quindi quando si ha a che fare con opere generate con l’ausilio dell’AI? In questi casi risulta essenziale stabilire in che termini l’intelligenza artificiale intervenga nel processo creativo, se sotto il controllo dell’ingegno dell’autore o meno.
Non solo. Ciò che desta particolare attenzione è anche il fatto che queste intelligenze generative ricorrano a materiali protetti (ad esempio, film, serie tv, testi, musica), senza che il loro utilizzo sia stato autorizzato e senza alcun compenso per i relativi titolari.
Rispetto a tale questione, realtà come OpenAI e Google stanno cercando di ottenere un accesso illimitato a questi contenuti protetti, considerati essenziali ai fini dell’addestramento dei modelli di AI. Una situazione questa che sta provocando numerosi problemi che possono rappresentare una minaccia al valore economico e culturale della creatività umana.
A seguito della pubblicazione da parte della Casa Bianca dell’AI Action Plan – il documento che delinea come l’amministrazione Trump voglia rendere l’intelligenza artificiale un perno centrale dell’economia, della sicurezza nazionale, dell’efficientamento e del progresso tecnologico – i due colossi hanno presentato delle proposte per ottenere deroghe alle attuali normative. Ciò ha generato la reazione di oltre 400 esponenti del mondo dello spettacolo – tra cui Paul McCartney, Ava DuVernay, Cate Blanchett, Taika Waititi, Alfonso Cuarón e Lilly Wachowski – i quali hanno firmato una lettera aperta alla Casa Bianca chiedendo provvedimenti più restrittivi in materia di AI e maggiore tutela del copyright dalle pressioni delle imprese protagoniste del mercato AI.
Imprese che, nel frattempo, sono state coinvolte in numerose cause legali per un uso non consentito di materiali protetti. Il New York Times, per esempio, ha citato in giudizio OpenAI, mentre altre testate e aziende stanno cercando di stipulare accordi diretti.
Al LA Times si sono affidati i doppiatori di Hollywood, per esprimere la loro preoccupazione circa un utilizzo non autorizzato delle loro voci. A tal proposito, risulta particolarmente significativa la testimonianza riportata sempre dal giornale, di un doppiatore che avrebbe rifiutato l’offerta di un’azienda di AI che voleva acquisire la registrazione della sua voce finalizzata all’addestramento degli algoritmi.
La mobilitazione di queste figure di Hollywood non può che ricordarci lo storico sciopero del 2023, quando i due sindacati più importanti degli attori- Screen Actors Guild-American Federation of Television and Radio Artists (SAG-AFTRA), con più di 65 mila iscritti- e degli sceneggiatori – Writers Guild of America (WGA) con 11 mila aderenti – misero al centro della loro protesta la questione dell’intelligenza artificiale.
Ciò che destava preoccupazione era la volontà da parte degli Studios di utilizzare l’AI per riprodurre digitalmente le sembianze di molti attori, svendendo completamente la loro identità artistica e personale. Ciò ha portato gli attori – e porta tutt’ora – a interrogarsi sui vari aspetti del tema della protezione dei propri diritti di immagine e di espressione.
Un ulteriore aspetto critico di questa evoluzione tecnologica risiede, inoltre, nella capacità dell’intelligenza artificiale di produrre disinformazione nel settore audiovisivo, attraverso la generazione di contenuti falsi — come testi, immagini, deepfake e audio — che possono essere facilmente utilizzati per ingannare il pubblico.
Quanto finora riportato lascia intuire l’irreversibilità di un processo, di fronte al quale non resta che delineare linee guida che puntino all’etica del lavoro e normative efficienti che garantiscano la giusta tutela ai protagonisti del settore.
Tuttavia, sarebbe opportuno riflettere su un aspetto: la pervasività di queste nuove tecnologie potrebbe riportarci a quanto accadeva tra gli anni ’70 e ’90, quando i registi chiedevano agli artigiani di apportare un “tocco umano” per contrastare l’effetto troppo “pulito” della grafica digitale. Oggi, infatti, proprio l’utilizzo degli stessi strumenti tecnologici rischia di generare una omologazione di prodotti, per cui all’intervento umano non resterebbe che agire unicamente attraverso un processo di personalizzazione, trasmettendo alla macchina il proprio senso critico.
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