Lo stallo in Rai – denunciato dai consiglieri Carlo Freccero e Paolo Messa in una lettera aperta al Corriere della Sera – che paralizza la preparazione dei palinsesti d’autunno, allunga la sua ombra anche sulle fiction. Da una parte il prodotto di Rai Fiction non è mai piaciuto così tanto agli spettatori (dal 2007 le share non erano così alte), dall’altra invece si ricomincia a parlare di seri ritardi nell’approvazione dei contratti. Ci sono set che si aprono senza che il produttore abbia neppure iniziato la trattativa, ma anche attivazioni ferme: soggetti che hanno avuto da mesi l’ok editoriale ma non quello formale per procedere nello sviluppo dei loro progetti.

Non vengono risparmiate neppure le serie strategiche. Ad esempio “Rocco Schiavone”, grande successo di Rai2 dell’autunno scorso: si era stabilito che la seconda serie dovesse andare in onda a primavera del prossimo anno con inizio delle riprese in autunno. Il rischio di slittamento è reale, dato che al momento non c’è neppure una sceneggiatura scritta. Non si è potuto portare avanti il contratto di attivazione e così il produttore non può firmare i contratti agli sceneggiatori, per cui è necessario l’autorizzazione di Viale Mazzini. Se lo facesse in autonomia potrebbe pagare una penale.

Siamo nella Rai dei paradossi e il paradosso più grande è l’incertezza decisionale legata al tetto dei compensi degli artisti, che negli ultimi mesi ha bloccato un po’ tutto, fiction inclusa, e a cui anche il vicequestore di Aosta (interpretato da Marco Giallini), come altri contratti, paga pegno.

Anche se la Rai non ha rapporti diretti con gli attori e gli autori che vengono gestiti dai produttori, c’è stato chi ha sostenuto che avendo visibilità sui compensi e approvandoli, anche la fiction rientrasse nel vincolo. Prudentemente non sono stati mandati avanti i contratti, anche se mentre scriviamo si dovrebbe giungere alla risoluzione dell’impasse.

Questa storia del tetto ha ulteriormente aggravato una situazione già problematica determinata dal cambiamento delle procedure decisionali e organizzative della fiction, per cui il direttore Tinni Andreatta chiede per ogni singolo progetto l’approvazione al direttore generale senza passare per il piano di produzione annuale di un tempo. Antonio Campo Dall’Orto, grazie ai nuovi superpoteri, lo ha approvato per bypassare il Cda per evitare il gioco dei veti incrociati e dei mercanteggiamenti che si verificavano precedentemente. Così di volta in volta prende la decisione finale dopo aver acquisito il benestare da parte di Marcello Ciannamea, direttore del coordinamento dei palinsesti e del cfo Raffaele Agrusti. Dopodiché si può fare il contratto al produttore.

La nuova procedura ha senza dubbio velocizzato il percorso, si tratta però di capire se sia davvero più efficace e più efficiente. Non la pensa così Giancarlo Leone, il neo presidente dell’Associazione dei produttori televisivi, che ha posto al primo punto del suo programma di lavoro la necessità di una pianificazione annuale della fiction e anche su questo tema ha già aperto la discussione con la Rai.

Fino a che c’è stato l’ex dg Luigi Gubitosi, la Andreatta era tenuta a presentare entro dicembre il piano della fiction dell’anno successivo, con i titoli le case di produzione e i valori, che veniva portato all’approvazione del consiglio. Questo iter non solo obbligava Rai Fiction a individuare con largo anticipo i progetti che voleva realizzare, ma in più lo doveva comunicare ai produttori. Già a dicembre o giù di lì era dunque chiaro quali contratti si sarebbero fatti, e si potevano cominciare le negoziazioni e chiuderle in tempo utile prima della realizzazione delle opere. Adesso che i tempi sono diventati discrezionali, i produttori molto spesso vengono a sapere del via libera a ridosso del primo ciak ed è ovvio che tutto questo generi ingorghi e criticità. Per giunta c’è anche il tema che il piano annuale è stato abolito, ma non sono stati modificati i relativi processi aziendali, che restano in vigore.

E per finire perdura il fatto che nella fabbrica della fiction della Rai chi fa le scelte sul prodotto e chi fa i contratti sono due direzioni diverse e due mondi a sé stanti. Se può essere un bene per la Rai, che può negoziare al meglio con la logica del poliziotto buono e di quello cattivo, è invece un problema per il produttore, che dopo aver trattato da una parte, ricomincia da capo dall’altra.

In area europea vanno di moda i reboot e i remake e la direttora di Rai2, Ilaria Dallatana, è veloce a fiutare le tendenze. Così, dopo il ritorno un po’ azzardato di “Furore”, ecco la riproposizione di “Camera cafè”, un formato francese all’epoca molto originale e divertente, di cui dal 2003 al 2012 sono andate in onda cinque stagioni su Italia 1, la rete giovane di Mediaset. Primo esempio di fiction interstiziale, con inquadratura a camera fissa, bassi costi e dialoghi surreali e fulminanti. La struttura del format resterà la stessa e torneranno i due protagonisti di allora, Luca e Paolo (i comici Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu), freschi reduci dalla serie “Immaturi” per l’autunno di Canale 5. Nella sua seconda vita però Camera Cafè perde la sua rete di elezione, Italia 1, e si trasferisce su Rai2, che sempre più insidia alla concorrente commerciale il carisma di rete che sorprende e sperimenta. Magnolia, che aveva scoperto e portato al successo il format in Italia, ma non ne possiede più i diritti, ha ceduto – non certo volentieri – il testimone a Zero Studio di Matteo Scortegagna, ex dirigente di Magnolia e di Zodiac Active, ora produttore in proprio. L’elemento di continuità è Beppe Caschetto, il patron di ITC 2000, molto in auge a Viale Mazzini, che come agente di Luca e Paolo ha co-prodotto la serie dall’origine e, volendo rifarla, ha trovato terrene fertile alla direzione di Rai2, perché Dallatana è stata colei che l’ha realizzata in passato quando era a capo di Magnolia. Tutto torna se si considera poi che Caschetto detiene una quota in Zero Studios di Scortegagna. Le riprese cominceranno presto per la regia di Maurizio Gasparetto, autore e regista di area milanese, che aveva firmato le ultime due edizioni. Dovrebbe essere in onda con i nuovi palinsesti d’autunno ma il condizionale è d’obbligo e tra le ipotesi di cui si discute c’è la possibilità di una collocazione nell’access prime time.

A giugno torna in onda il nuovo ciclo di puntate di “Non Uccidere”, la serie della Wildiside che indaga sui delitti che si verificano nella cerchia domestica. Per vederla dovremo però sintonizzarci su Rai2, invece che su Rai3 per cui era stata pensata. Con il “Giro d’Italia”, “Non Uccidere” è il secondo programma di Rai3 che viene portato sulla rete della Dallatana. È chiara la volontà della Rai di proteggere al meglio un prodotto meno tradizionale che all’esordio era piaciuto alla critica, ma aveva lasciato molto freddi gli spettatori. Con un certo coraggio, però, la Rai aveva deciso di non lasciar morire il format, anche perché il poliziesco in una Torino gelida e cupa ha avuto l’attenzione di distributori e televisioni internazionali. Così la seconda serie è stata modificata e scritta sulla base di episodio di 50 minuti, lo standard mondiale, invece dei 100. La serie, che ha un punto di forza nell’interpretazione di Miriam Leone (l’attrice presente in queste settimane sugli schermi di Sky con 1993), ha una valenza industriale importante perché viene realizzata al Centro Rai di Torino con l’utilizzazione di maestranze e tecnici interni.

(Anna Rotili per Prima Comunicazione)